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La solitudine

“Lei e Mattia erano uniti da un filo elastico e invisibile, sepolto sotto un mucchio di cose di poca importanza, un filo che poteva esistere soltanto fra due come loro: due che avevano riconosciuto la propria solitudine l’uno nell’altra.”

Ha scritto Paolo Giordano ne “La solitudine dei numeri primi”.

E quest’anno più che mai ci siamo ritrovati da soli.

Stare soli è diventato contemporaneamente salvezza e condanna, perché diciamocelo, quanti sanno stare bene da soli? E anche tra quelli che dicono di si, quanti sanno stare bene da soli così a lungo?

La narrazione creatasi attorno a chi non sa stare da solo è quella di qualcuno irrisolto, poco in confidenza con sé stesso, quasi incline alla dipendenza affettiva, incapace di gestire il rumore interiore che rimane quando il resto si spegne.

Non intendo dire che questo non sia vero alcune volte, probabilmente una buona dose di introspezione e lavoro personale (e non parlo solo della terapia!) è una buon inizio per imparare a stare più sereni anche da soli; so però che, se si cerca di capire un po’ più a fondo il motivo per cui la solitudine ci sta scomoda, si apre tutto un altro mondo.

SPIEGAZIONE IN CHIAVE EVOLUZIONISTICA

L’evoluzionismo lo conosciamo tutti, anche chi avrebbe preferito farne a meno, conosce Darwin e le sue teorie.

Non partiremo dal motivo per cui le giraffe hanno il collo lungo o dagli esperimenti di Mendel, ma l’evoluzionismo ci aiuta a spiegare in modi più accessibili comportamenti complessi.

In psicologia, si parla di evoluzionismo nella misura in cui, per capire le radici di un comportamento, si considera l’uomo alla pari di un qualsiasi altro animale.

Partendo da questo presupposto, alcuni psicologi (vd. Bowlby et.al) sono riusciti a spiegare come mai abbiamo una naturale predisposizione a stare meglio in compagnia che da soli.

Il motivo può sembrare banale, ma raggiunge traiettorie di complessità strabilianti:

Stare soli aumenta il pericolo.

Stare soli per un “cucciolo” di qualsiasi specie significa essere più esposto alle prede da cui ancora non sa difendersi.

Stare soli aumenta la probabilità di andare incontro ad eventi spiacevoli che potrebbero compromettere la nostra incolumità o nel peggiore dei casi comportare la morte.

Tutto questo può apparire qualcosa di profondamente scollato dalla nostra realtà perché diciamocelo, quanti di noi hanno paura di morire di solitudine?

Tutto questo diventano però più tangibile se per esempio pensiamo a:

  • L’assurdità di lasciare un bambino da solo al parco;

  • L’insofferenza di chi non sopporta di rimanere single;

  • La necessità di parlare con qualcuno quando stiamo male o dobbiamo prendere decisioni importanti.

L’elenco potrebbe essere infinito ma, per capire meglio c’è bisogno di un tassello chiave...


IL CONCETTO DI BASE SICURA

Impariamo, sin dalle prime ore della nostra esistenza ad appoggiarci a quello che in psicologichese si chiama base sicura. In parole più semplici: mamma e papà.

Impariamo che abbiamo bisogno di una figura di riferimento che ci guidi e protegga, in modo totalmente istintiva e naturale.

La base sicura è quindi quel punto di partenza da cui sappiamo di poter partire con la sicurezza di cui abbiamo bisogno e a cui poter tornare ogni volta che vogliamo, perché lei è li, a prescindere da tutto.

Negli anni può crescere e diversificarsi, diventa il gruppo degli amici, il/la fidanzato/a o chiunque pensiate possa rappresentare per voi questa sicurezza.

Anche quando cresciamo e la nostra capacità di esplorare in autonomia aumenta quasi fino a farci credere che possiamo essere soli al mondo, coloro che rappresentano la nostra base sicura sono lì e sono fondamentali.

Riassumendo, la base sicura è quella cosa che ci fa sentire di essere in grado di stare da soli ma che alla fine, insieme è meglio.

La base sicura però non sempre viene interiorizzata in modo sano ed è in questo modo che può nascere l’incapacità di stare soli. È così che stare insieme diventa l’imperativo per stare bene e non una scelta per arricchire le esperienze e stare meglio.

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