Gli altri dovevano essere proprio scarsi se questo concorso l’ho vinto io.
(E l’università, i tirocini, i master e i corsi nei fine-settimana uniti all’intenso studio?)
È stato proprio un caso averlo scoperto, che fortuna!
(E i mesi di ricerche e lavoro senza sosta?)
Meno male non si sono accorti di tutti gli errori.
(Non può essere realmente un bel progetto da approvare perché ritenuto valido?).
E così via fino quasi a convincerci davvero che quello per cui abbiamo lavorato sodo non ce lo siamo meritato, che sicuramente è andata bene perché qualcuno più bravo e figo di noi non ha partecipato, se no sarebbe stato sicuramente in pole position per farci le scarpe.
LA SINDROME DELL’IMPOSTORE
È definita come una sindrome, ma, non costituendo una patologia, sarebbe più appropriato definirla come un fenomeno, uno stato mentale che ci porta a credere di non essere capaci di raggiungere un obiettivo importante, di aggiudicarci una posizione di successo e a vivere nel costante timore di essere scoperti per quello che si è davvero: una persona mediocre, con poco talento che non merita di ricoprire quel ruolo e chissà per quali fortunati eventi è arrivata fino a li.
Alcune ricerche hanno evidenziato degli elementi ricorrenti nel mantenimento di questo fenomeno:
• L’attivazione di un ciclo: preoccupazione-dubbio-sovra-preparazione o procrastinazione-sollievo --> gioia per il successo ottenuto --> nuova preoccupazione;
• L’ambizione di essere speciali e/o arrivare primi;
• La paura di sbagliare e/o di mancare alle aspettative proprie e altrui;
• La sottovalutazione delle proprie competenze;
• La scarsa importanza attribuita agli elogi;
• La percezione del senso di colpa per il successo ottenuto;
• L’idea di aver ingannato gli altri inducendoli a sovrastimare le nostre capacità;
• L’attribuzione dei successi a fattori esterni (fortuna, errore di giudizio), accompagnati dal timore che il meccanismo venga scoperto e che si venga smascherati come impostori.
Inizialmente, tutta questa lista di fattori, sembrava interessasse maggiormente le donne in carriera, ma con il tempo si è visto che questo fenomeno non risparmia nessuno, anche se è maggiormente presente nelle persone che ricoprono ruoli insoliti (per esempio: una donna meccanico, un uomo che fa l’estetista, una donna ingegnere etc).
COSA FARE
Diventiamo consapevoli del fatto che questo è un nostro atteggiamento mentale e che non tutto ciò che pensiamo corrisponde alla realtà dei fatti.
Allo stesso tempo, iniziamo a metterci nell’ottica delle idee che non siamo soli. Cioè che non siamo gli unici al mondo ad avere questa sensazione o a pensarla così. Questa prospettiva, sicuramente non aiuterà a far scomparire il nostro disagio, ma ci farà sentire meno soli e strani.
Riconosciamo i nostri meriti: per quanto sia vero che anche la fortuna, gli imprevisti e condizioni di partenza favorevoli sono importanti, iniziamo a pensare che anche noi, con il nostro impegno e i nostri sforzi, facciamo parte di quel ventaglio di probabilità che contribuiscono al raggiungimento del successo.
Non prendiamoci troppo sul serio: per quanto possa essere grande il nostro sogno, imparare a ridimensionare e a capire che la perfezione non esiste, è il primo passo per relativizzare il nostro obiettivo e perché no, ogni tanto, imparare a riderci su.
Concediamoci la possibilità di sbagliare: se riguardiamo il nostro percorso, anche se siamo finalmente arrivati al punto dove avremmo sempre desiderato arrivare, troveremo falle, intoppi, ripensamenti e fallimenti. Eppure siamo arrivati lo stesso in cima, o almeno a un pianerottolo che ci permette di riprendere fiato prima di ripartire alla conquista dell’obiettivo. Questo perché, lungo il cammino, siamo stati in grado di passare sopra i nostri errori e “perdonarci”.
Bravissima Ele!